viernes, 1 de diciembre de 2023

Numa Pompilio Il Clericale

 


Per una corretta visone del blog si consiglia di     usare il computer. Con gli altri dispositivi la                          visione è imprecisa.


Para una correcta visión del blog se recomienda           usar la computadora. Con otros dispositivos la                             visión es imprecisa. 






         CII Exposición Individual de Fotografías:                     "Niños III" del 2 al 17 de Diciembre,                           en la Galeria de Arte, MAXART.








Numa Pompilio Il Clericale

Numa Pompilio, Numa Pompilius, nacque a Cures, una delle capitali dei Sabini, nel 754 a.C. e mori nel 673 a.C.. Numa Pompilio fu il secondo re di Roma, dal 715 a.C., sino alla sua morte. Alla morte di Romolo, la città pur sviluppata e raddoppiata in numero per la presenza dei Sabini e altre stirpi che stentavano a fondersi, non aveva un successore. Al momento di eleggere il secondo re, le fazioni più numerose, quelle dei romani e dei sabini, era arroccata nelle loro scelte partitarie, rendendo la situazione stagnante. In quella situazione, Roma fu governata dai Patres, per più di un anno. I senatori si alternavano al comando ogni dieci giorni, nel tentativo di costituire un governo oligarchico e sovvertire la monarchia, ma il popolo spingeva per l’elezione di un altro re. I romani avevano scelto il loro compatriota Proculo Giulio, mentre i sabini parteggiavano per il loro Velesio. “Quiriti, scegliete il re di Roma, questo è il volere dei Senatori. Se chi nominerete sarà degno di essere il successore di Romolo, i Patres approveranno.”

Il senato deliberò che il popolo romano avrebbe scelto il suo re, tra i senatori sabini e i sabini lo avrebbe scelto tra i senatori romani. Romolo se n’era andato senza lasciare un erede, ma Tito Tazio che aveva governato con lui, aveva lasciato una figlia chiamata Tazia e tramite lei, i romani scelsero suo marito Numa Pompilio, appartenente alla Gens Pompilia, uomo saggio e religioso. Di fronte a quella scelta, i sabini rinunciarono a proporre il loro candidato, poiché nessun aspirante poteva migliorare la scelta. I Patres all’unanimità acconsentirono.

Numa Pompilio, trentasettenne, placido e rotondo, aveva ricevuto una rigorosa educazione, mostrando rettitudine. Numa era un tipo super partes, noto per la sua mitezza d’animo e religiosità, massima autorità in materia, tanto da meritarsi in seguito l’appellativo di Pius.Cures furono inviati Proculo e Velesio, i due senatori più influenti fra i romani e i sabini, per offrirgli il regno. Ma, Numa Pompilio, seppur lusingato, non ne voleva sapere d’accettare il gravoso incarico, poiché non si riconosceva negli ideali bellicosi di quelli che sarebbero diventati i suoi sudditi. Velesio e Proculo cercarono di convincerlo, insieme a Tazia, la quale lo supplicava di accettare, poiché acconsentire significava servire gli dei. Quando i due senatori arrivarono nella sua casa, Numa era appena tornato da una lunga passeggiata meditativa nei boschi. Numa amava la vita semplice e tranquilla e non ambiva a nessuna carica politica. Conoscendo il marito, Tazia fece leva sulla sua religiosità, sapendo che solo così avrebbe vinto. “Chi meglio di te può prendere le redini del regno? Sei devoto agli dei e la tua saggezza è nota in tutta la regione. Se non lo fai per te, fallo per onorare Giove e le altre divinità che ti offrono questo titolo, nella speranza di avere un re che li onori come meritano.” Numa chiese che si consultassero gli dei, come aveva fatto Romolo dopo aver fondato la città. Sul Campidoglio, un augure, al quale poi sarà concessa perpetuamente questa pubblica cerimonia, con il capo coperto e reggendo un bastone, chiamato lituo, pregava. “O padre Giove, se è tua volontà che Numa, qui presente, sia re di Roma, mandaci un segnale, entro i limiti che ho tracciato con il lituo.” Se il segnale arrivò, non è dato sapere, ma supponiamo di sì. E Numa fu incoronato sul Campidoglio, diventando capo militare, giudiziario e religioso dei romani. Nei quarantatré anni del suo lungo governo, Numa spinse i romani al timore divino, allontanandoli dalla crudeltà delle guerre, facendo assurgere la religione a un ruolo primario, anche nelle decisioni speciali della città. Introdusse canti e suoni nelle cerimonie religiose e abolendo i sacrifici umani. Roma accolse bene quel re pacifista, poiché era già stanca di guerre e godendo di un lungo periodo di pace, potette consolidare le istituzioni. Alla fine del suo regno, Numa Pompilio fu definito filosofo e santo, come Marco Aurelio, molti secoli dopo.

Poiché nel suo regno c’era molta confusione, volle mettere ordine tra i suoi sudditi e per essere più credibile, s’inventò la storiella che la ninfa Egeria, gli riferiva dettagliate istruzioni che gli arrivavano direttamente dall’Olimpo, quando passeggiava per i boschi limitrofi alla città. Quindi, chi disobbediva non lo faceva solo contro le regole del re, ma anche contro le regole degli dei.

Lo stratagemma sembrerebbe infantile, ma per l’epoca e non soltanto, fu efficace. Infatti, ancora oggi si da credito a certe storielle inventate di sana pianta. Perché non avrebbero dovuto crederci duemila e settecento anni fa? Negli Stati Uniti d’America, nel XIX secolo, ci fu un certo Joseph Smith, il quale autoproclamatosi profeta, diceva che rinchiuso in un granaio, aveva avuto un contatto diretto con Dio e Gesù Cristo, sviluppando per loro ordine, la corrente religiosa dei Mormoni. E fu creduto, tanto che ancora oggi, è una delle religioni più seguite, con sedici milioni di adepti. Anche Hitler, per inquadrare meglio i tedeschi, usava uno stratagemma simile, dicendo di recarsi periodicamente alla montagna di Berchtesgaden, per ricevere nuovi ordini direttamente da Dio, al quale obbediva, sterminando gli ebrei e cercando di sottomettere il mondo. L’autorità, supportata dal volere di Dio, può controllare tutto.

Numa dotò la città di un sistema giuridico e di un codice morale, del quale i romani erano sprovvisti. Bisognava elevare la gente, spiegando loro che nella vita esisteva qualcosa di più piacevole della guerra, come la religione. Inculcò sapientemente nel loro animo la paura per gli dei. Per aumentare le celebrazioni religiose, nominò altri sacerdoti. Nominò un sacerdote perpetuo a Giove, chiamato Flamine. Gli infilò un abito prestigioso e gli dette una sedia regale. Poi ne aggiunse altri due, per celebrare Marte e Quirino. Poi, il senatore Numa Marcio fu nominato Sommo Pontefice, con la mansione di controllare lo svolgimento delle cerimonie sacre, stabilirne i giorni e recuperare il denaro per sovvenzionarle. Predisposto anche alle orazioni funebri, la gente poteva rivolgersi a lui per ottenere spiegazioni sacre. Istituì innumerevoli culti sacrificali, per preservare la città da inutili guerre ed essere menzionato come fondatore della religione romana. Numa Pompilio aveva distolto i romani dalla guerra. Aveva creato una comunità dedita al culto e al rispetto reciproco, per paura di ripercussioni divine, più che per l’inosservanza delle leggi. In seguito, i popoli vicini furono sempre timorosi nei loro riguardi, sia perché considerati bellicosi e sia perché pensavano che a Roma dimorassero gli dei e quindi sacrilego e pericoloso violare i loro territori e la città.

Numa Pompilio riformò il calendario, seguendo la periodicità delle fasi lunari dalla durata di 28 giorni e aggiungendo gennaio e febbraio agli altri dieci mesi, istituiti da Romolo, per equipararlo con il corso naturale della terra. Scelse i giorni fasti e quelli nefasti, per fare in modo che in certi giorni non si prendessero decisioni importanti.  

Numa Pompilio instaurò vari ordini religiosi. Il primo ordine religioso o collegio sacerdotale era composto dai Flamini, sacerdoti che si dedicano a uno specifico dio. I tre flamini maggiori, compongono la triade capitolina, Giove, Marte e Quirino. Il flamine Diale si occupa del culto al dio Giove, il quale aveva un enorme prestigio e concessioni, ma anche delle restrizioni. Il flamine Marziale si occupa del culto al dio Marte, con meno restrizioni. Il flamine Quirinale si occupa del culto al dio Quirino. Esistono altri dodici flamini, per altrettanti dei, meno importanti rispetto a quelli della triade capitolina. Il secondo collegio sacerdotale era quello delle Vestali.

Il terzo collegio sacerdotale era quello degli Auguri, predisposti a cogliere i segnali degli dei che provengono dal cielo, come tuoni e fulmini, i segnali che provengono dai rettili, dalla maniera in cui si muovevano o quelli dei polli. Quindi, gli Auguri avevano una grande importanza, come prendere una decisione durante una guerra. Il quarto collegio sacerdotale era composto dai Salii, predisposti a scegliere tra la pace e la guerra, cambiando i diritti e i doveri del cittadino che durante una guerra diventava un soldato. A loro fu dato l’incarico di realizzare la festa di Quirino e quella di Marte, durante le quali era proibito lavorare. Il quinto collegio sacerdotale era composto dai Feziali, i quali facevano rispettare i regolamenti bellici e internazionali. Per dichiarare guerra ci volevano dei presupposti, i quali andavano rispettati, equiparabili in qualche maniera, ai regolamenti odierni. Il sesto collegio sacerdotale era composto dai Pontefici, i quali controllavano che i collegi sacerdotali, si comportassero secondo le regole.

Numa Pompilio proibì di venerare immagini umane e di animali e la costruzione di statue raffiguranti gli dei. Definì i confini tra le proprietà dei privati e quelle pubbliche. Incluse nella città, il colle del Quirinale. Nel Foro fece costruire il tempio di Vesta e lungo la Via Sacra il  Tempio di Giano, le cui porte erano chiuse in tempo di pace. Numa lo costruì e subito lo chiuse, avendo stipulato trattati di pace con le popolazioni vicine, dedicandosi a rendere i suoi concittadini delle mozzarelle. Poi, nei secoli, il tempio rimase chiuso solo altre due volte. Alla fine della seconda guerra Punica, al tempo di Tito Manlio e dopo la battaglia di Azio, tra Marco Antonio e Ottaviano.

A queste riforme religiose corrispose un periodo di prosperità e di pace che permise a Roma di rafforzarsi. Numa armonizzò le tradizioni dei romani e dei sabini residenti a Roma, per eliminare le tensioni fra di loro, riducendo l’importanza delle tribù e creando legami basati sui mestieri. La città era divisa nella tribù dei Latini, dei Sabini e degli Etruschi. Ogni tribù era divisa in dieci curie o quartieri. Ogni curia in dieci gens o casate. Ogni casata era divisa in famiglie. Le curie si riunivano due volte l’anno per discutere delle problematiche esistenti e quando era il caso, eleggere il re. Tutti avevano diritto al voto. La maggioranza decideva. Da portavoce del popolo e da comandante supremo dell’esercito, il re eseguiva. Una parvenza di democrazia.

Dopo la morte della moglie Tazia, Numa divenne ancor più meditativo, trascorrendo le sue giornate nei boschi a rimuginare. Fu proprio durante una delle sue passeggiate che Numa aveva conosciuto la Ninfa Egeria, la quale restò incantata da quell’uomo pacato e gentile, al punto da innamorarsene e renderlo suo amante. La Ninfa possedendo capacità divinatorie, fu di grande aiuto per Numa, nel compito di guidare la comunità. Quando il re confidò ai senatori che la maggior parte delle riforme introdotte erano frutto dei consigli di una Ninfa, tutti gli risero dietro. Nessuno voleva credergli. “Perché non ci inviti a cena questa sera e ce la fai conoscere?” Numa, disdegnando onori e sfarzo, rispose serenamente che quella sera erano tutti invitati nella sua piccola casa. Quando a sera, i curiosi senatori si recarono a casa di Numa, rimasero sbalorditi. Quello che da fuori era una catapecchia, dentro era una reggia e sulla tavola era servito un banchetto regale. Ma il re viveva solo. Come aveva fatto? Da quel giorno, nessuno dubitò delle sue parole. Numa incontrava la Ninfa, nel bosco delle Camene, situato a sud est del colle Celio, dove tra convegni amorosi e passeggiate, elaboravano strategie e leggi per risolvere i problemi della città. Le Camene erano quattro ninfe legate alle sorgenti e ai fiumi, chiamate Carmenta, Antevorta, Postvorta ed Egeria, le quali avevano virtù profetiche e ispiratrici. Nel bosco c’era un tempio e un monastero dove vivevano e officiavano da sacerdotesse, pur non vivendo in castità. In realtà, il furbastro di Numa, per essere ascoltato ed evitare contestazioni, rifilava le sue leggi, spacciate per divine, giacché suggerite dalle Ninfa che faceva da tramite con Giove.

Nell’ottavo anno di pacifico regno, una tempesta incessante s’abbatteva sulla comunità. Numa domandò a Egeria se potesse fare qualcosa per far cessare quelle continue piogge. La Ninfa gli suggerì qualcosa e lui corse alla fonte di Pico e Fauno, lasciando vicino al loro covo numerosi otri di vino. I due compari, abboccando al tranello, bevvero sino a ubriacarsi. A quel punto Numa uscì allo scoperto e legò ben stetti a un albero, i due semidei che non si reggevano in piedi, promettendo la liberta, se gli avessero confidato come fermare la tormenta. Dopo essere scoppiati a ridere, i due rivelarono che non ne sapevano nulla. Poi, Fauno disse che avrebbe invitato una persona che sicuramente ne sapeva di più. Dopo averlo invocato, giunse al loro cospetto nientemeno che Giove, il padre di tutti gli dei. Al sopraggiungere, nelle vicinanze caddero dei fulmini e la terra si scosse con i successivi tuoni. Numa riverente, rifece la domanda e Giove rispose che voleva una testa. Numa che non aveva nessuna voglia di sacrificare un umano, tergiversò dicendo che avrebbe tagliato una testa di cipolla, ma Giove replicò che voleva la testa di un mortale. Come desideri, taglierò la testa di un mortale alla sommità e ti offrirò i capelli. Giove, inconsapevole della perspicacia dell’uomo, s’accarezzò la fluente barba bianca, tuonando: “Voglio un’anima.” “Va bene sommo Giove. Sacrificherò un pesce e ti darò la sua anima.” Giove scoppiò a ridere e aggiunse: “Mi piaci, mortale, domani ti farò un dono. Raduna il tuo popolo e aspetta un segno dal cielo.” Il re fischiettando, tornò a Roma, notando con piacere che la pioggia si stava placando. Il giorno seguente era una splendida giornata di sole e Numa, ossequioso, decise di dedicare a Giove un tempio sull’Aventino. Nel frattempo la folla teneva il naso all’insù e le orecchie ben aperte, nella speranza di avvistare qualche senale divino. All’improvviso dal cielo cadde uno scudo di metallo ovale, con i due lati concavi. Tra l’ovazione del popolo, Numa raccolse lo scudo e lo portò alla Ninfa Egeria, per farlo visionare. “Questo scudo ti è stato concesso da Marte e sino a quando resterà nelle mani dei Romani, saranno sempre vittoriosi in battaglia. Chi ne è in possesso, non sarà mai sconfitto.” Numa, con la sua solita scaltrezza, convocò i migliori fabbri della regione per costruire delle repliche e preservare l’originale. Un certo Mamurio Veturio, costruì undici copie, così identiche da confondersi con l’autentica. Le consegnò a Numa, il quale le mescolò con l’originale, per renderlo irriconoscibile. Poi, chiamò dodici sacerdoti, i Salii, giovani di bell’aspetto, scelti tra i patrizi, i quali vestirono una tunica finemente ricamata, con una corazza di bronzo a protezione del petto e consegnò a ognuno di loro uno scudo, per custodirli e portarli in processione a marzo, a indicare una possibile guerra e in ottobre, quando si chiudeva la stagione bellica. La sfilata era eseguita con agili balzi e un battere di piedi, lungo le strade dell’Urbe.  

Alla sua morte, avvenuta nel 673 a.C., quando suo nipote, il futuro re Anco Marzio, aveva solo cinque anni, pur ottuagenario e malato, i romani si gettarono nello sconforto, grati per il lungo periodo di pace e prosperità di cui avevano goduto, dopo la bellicosa esperienza del regno di Romolo. Il placido sovrano fu rimpianto per molte generazioni. Anche la Ninfa Egeria, disperata, indusse la dea Diana a trasformarla in fonte, nel bosco di Aricia, sui monti Albani, dove si recava per piangere il suo dolore. Al funerale parteciparono molti rappresentanti dei popoli vicini e il suo corpo non fu bruciato su una pira, come facevano i romani, ma interrato alla maniera sabina, in una tomba sul Gianicolo. Le tradizioni matriarcali, interrando i propri morti, per riportarli alla madre Terra, quelli patriarcali, li bruciavano.

In un secondo sarcofago, al suo fianco furono interrati i dodici libri da lui scritti, i Commentarii Numae o libri Numae su cui c’erano le istruzioni ai futuri Pontefici che andarono perduti durante il sacco gallico di Roma, del 387 a.C.. Poi, durante il consolato di Marco Bebio Tamfilo e Publio Cornelio Cetego, nel 181 a.C., due contadini trovarono il sarcofago vuoto della sua sepoltura e sette libri in latino di diritto pontificale e altrettanti in greco di filosofia. I libri furono portati in senato ed esaminati. Per decreto i primi furono conservati con cura, mentre i secondi furono pubblicamente bruciati, ritenendo il contenuto pericoloso, perché i libri narravano i culti sabini, dettati dalla Ninfa Egeria, in contrasto con la tradizione Romana.

Numa ebbe una figlia chiamata Pompilia, sposata con un tal Marzio, il quale sperava di diventare il successore di Numa. Il senato dissentì, poiché voleva insediare un re romano, dopo uno sabino. Così la scelta cadde su Tullo Ostilio, mentre Marzio, deluso, si lasciò morire di fame. Dal matrimonio tra Pompilia e Marzio, nacque Anco Marzio, futuro quarto re di Roma. Numa Pompilio ebbe altri quattro figli da un’altra donna chiamata Lucreziai. Pompone, Pino, Calpo e Memerco dai quali s’originarono le casate romane dei Pomponi, dei Pinari, dei Calpurni e dei Marci.

 

 





                          Una ninfa e un fauno

 

Una ninfa e un fauno facean bisboccia,

sulle rive d’un placido fiume,

spruzzando d’acqua i ringozzati seni

e le natiche candide ben tornite.

Con armoniosi movimenti femminei,

la mano tendeva a celar vergognosa,

una parte dell’ombrosa apertura

e con l’altra una corona di fiori teneva

sui capelli neri lucenti e vaporosi.

Il passero che la fanciulla tenea in grembo,

per acquietare i tristi castighi del cuore,

portó ove l’acqua era più profonda.  

Dammi cento baci e poi mille abbracci,

breve è il tempo della letizia terrena,

avvinghiamoci per non farla scappare,

presto la vecchiaia ci cingerà il corpo

e una mesta fine scorrerà su di noi.

 





Testo tratto dal libro sull'Impero Romano:"Voci dall'Antica Roma"





© 2023 by Enzo Casamassima. All rights reserved. No part of this document may be reproduced or transmitted in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording or otherwise, without prior written permission.

No hay comentarios:

Publicar un comentario