martes, 1 de julio de 2025

La Deriva dei Continenti

 



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La Deriva dei Continenti

Una delle più geniali intuizioni scientifiche del XX secolo fu quella dello scienziato tedesco Alfred Wegener, il quale, il 6 gennaio del 1912, presentò la teoria della deriva dei continenti, modello alla base della moderna geologia, chiamata anche della tettonica a placche.

Wegener espose la teoria di un super continente primordiale chiamata Pangea che nel frantumarsi diede origine ai continenti che ora abbiamo. Nel 1915, pubblicò il libro dal titolo: L'origine dei continenti e degli oceani, alla base del successivo sviluppo della tettonica. L’intuizione nacque dalla concordanza dei confini del Sudamerica con l’Africa e dalla similitudine delle rocce e dei fossili che si trovavano nei rispettivi punti dei due continenti.

L'apprezzamento della comunità scientifica internazionale non coincise con l’accettazione della teoria, perché Wegener non riusciva a spiegare la distanza di migliaia di chilometri tra l’Africa e l’America del Sud. Lo scienziato non tenne presente che con lo spostamento del terreno di due centimetri l’anno, in duecento milioni di anni, un territorio si sarebbe spostato di quattromila chilometri, cosi com’era accaduto al territorio americano. Poi, nei decenni successivi, con le nuove strumentazioni, come i magnetometri, i sismografi, i tomografi, le perforazioni dei fondi oceanici, la tettonica delle zolle, la teoria fu ampiamente spiegata.  

Ma, Wegener era morto nel 1930, durante una spedizione in Groenlandia, allorché la temperatura scese sino a 60 gradi sottozero. Il suo corpo congelato fu trovato sei mesi dopo e seppellito sul posto dove tutt’ora riposa, senza assistere all’accettazione definitiva della sua teoria.

Nel globo terrestre esistono sette grandi placche, una dozzina di placche minori e all’interno di esse una decine di micro placche. Lo spessore delle placche varia dai dieci chilometri agli oltre settanta. Quando due placche si scontrano, una s’inabissa e l’altra scorrendo sopra come un nastro, emerge, innalzando i territori.

Le placche possono essere sia di tipo continentale che di tipo oceanico. Il loro movimento dà origine ai terremoti, all'apertura e alla chiusura degli oceani e all'innalzamento di grandi catene montuose come le Alpi o l'Himalaya. La forza che muove le placche della crosta terrestre, viene generato dal calore che la terra sprigiona dal suo interno. Così, il volto della Terra cambia e si rimodella continuamente.

Circa 300 milioni di anni fa c’era un unico super continente, detto Pangea che lentamente si è plasmato nei continenti attuali. Ma, non era la prima volta che accadeva, infatti il movimento è ciclico e già in precedenza si era verificato un comporsi e scomporsi dei continenti. La regione dei Caraibi è tra le più attive, provato dalla presenza di vulcani lungo la costa pacifica del Nicaragua.

Hispañola è una delle zone più a rischio di terremoti della Terra. Le mappe geologiche la vedono al bordo di una piccola placca stretta fra altre placche gigantesche, dove si manifestano forze distruttive immani. Negli ultimi 500 anni si sono verificati 12 terremoti oltre i 7,5 gradi della scala Richter.  

Hispañola è come una zattera che si dirige verso est, scontrandosi con la placca nordamericana in viaggio verso ovest, alla velocità di 2 centimetri all’anno. A sud, la placca sudamericana si sposta invece verso nord-ovest, alla velocità di 1.5 centimetri all’anno. Quindi, Hispañola si trova nel mezzo, stretta fra imponenti masse che agiscono di continuo sul suo territorio.

La placca caraibica è percorsa al suo interno da faglie minori. Su una di queste è collocata Port-au-Prince, capitale di Haiti, rimasta vittima di continue distruzioni. Il suo territorio è diviso in due parti, le quali si muovono nella stessa direzione, ma con velocità diverse. Nel continuo scivolare, accumulano un’energia che prima o poi dovrà liberarsi, ma non si sa dove e quando. L’ultima volta, l’ipocentro, il punto sotterraneo in cui si è scatenata la violenza distruttrice, era a 10 chilometri di profondità, a 16 chilometri da Port-au-Prince. Nella parte opposta dell’isola, dove è situato Santo Domingo, la situazione è  meno pericolosa, perché le due faglie esistenti sono lontane, giacché transitano una a nord e l’altra a sud.

Risalendo lungo la linea dei vulcani, s’incontra la faglia di Sant’Andrea che separa la placca nordamericana dalla placca pacifica. Qui, dovrebbe accadere il Big One, il super terremoto che scuoterà la costa californiana, già fortemente toccata il 18 aprile del 1906, con l’imponente incendio di San Francisco. In quell’occasione si ebbe uno spostamento repentino della faglia di 6,5 metri. Altri episodi si sono verificati nel 1994 e nel 2008, identificati dagli scienziati come preavvisi del Big One.  





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