domingo, 1 de junio de 2025

Niccolò Paganini

 



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Niccolò Paganini

Niccolò Paganini nacque a Genova, il 27 ottobre del 1782 e morì a Nizza, il 27 maggio del 1840. Fu violinista e compositore tra i più importanti di tutti i tempi, per la padronanza dello strumento e per le innovazioni, in particolare per lo staccato e il pizzicato.

Niccolò Paganini nacque da una modesta famiglia di Carro, provincia di La Spezia. Il padre gli impartì le prime lezioni di mandolino, per poi, indirizzarlo allo studio del violino, ricevendo solo una trentina di lezioni da due maestri del suo tempo e a 12 anni già si esibiva nelle chiese di Genova.

Nel febbraio del 1796, gli fu diagnosticata  un’encefalite morbillosa, con crisi catalettiche, tanto che in alcune occasioni fu creduto morto. La malattia gli lascerà segni indelebili sul sistema nervoso, sempre più evidenti in età matura. Nello stesso anno si ammalò di polmonite.

Niccolò studiava dieci ore al giorno, su un Guarneri regalatogli da un suo ammiratore. Si ritiene che lo strumento sia stato il Guarneri del Gesù, Carrodus, del 1743, in seguito dallo stesso perso al gioco. Poi, rientrò in possesso dello strumento nel 1800, a Livorno, quando era in possesso di un altro Guarneri del Gesù, Cannone, anch’esso del 1743. Da recenti studi sulle fibre del legno di ambedue gli strumenti, il Carrodus e il Cannone risultano essere gemelli, poiché ambedue fabbricati con il legno del medesimo albero.

Nel 1801, a 19 anni, interruppe l’attività concertistica per dedicarsi all'agricoltura e allo studio della chitarra. In breve divenne un virtuoso anche di quello strumento, scrivendo molte sonate. Paganini percorse l’Italia per ben tre volte, recandosi anche nelle principali città europee, per i suoi acclamati concerti, ovunque mietendo successi.

Niccolò Paganini, il più grande violinista di tutti i tempi, era dotato di una tecnica straordinaria e le sue composizioni erano considerate ineseguibili da altri. Compiva salti melodici di diverse ottave ed eseguiva lunghi passi con accordi su quattro corde, alla massima velocità. Alternava note eseguite con l’arco e note pizzicate alla mano sinistra. Eseguiva anche misteriosi e spettrali giri armonici.

Paganini aveva dita molto lunghe e mobili, come mostrano i calchi delle sue mani fatti il giorno della morte che lo aiutarono a toccare livelli di esecuzione insuperati. Con l'estenuante esercizio quotidiano e una enorme  falcata delle dita, procurata dalla sindrome di Marfan, poteva avvolgere la tastiera del violino con rapidità e interezza.

Per mostrare le sue doti di violinista, Paganini aveva l'abitudine di incidere le corde del violino che utilizzava durante i concerti, in modo che le sue violente esecuzioni ne provocassero la rottura, fino al punto da restare con una sola corda, quella del sol. Che la quarta corda fosse lasciata integra non era casuale. Il sol è la corda più espressiva del violino che permette di passare dal grave all'acuto in modo morbido, senza le corde del mi, la e re. Paganini univa la spettacolarità dell'esecuzione, al dinamismo, galvanizzando le folle. Modificava anche l'accordatura sfumando i suoni e utilizzando la tecnica del pizzicato con la mano sinistra che all’epoca si usava solo in Italia, da pochissimi.

Oltre al virtuosismo, a determinare il suo successo era anche il forte alone di mistero che circondava la sua persona. Si diceva che fosse stato incarcerato per aver ucciso un rivale in amore; che in prigione gli fosse stato concesso di suonare il violino; che con il passare del tempo avesse perso tutte le corde tranne quella di sol, ritrovandosi a suonare solo su quella corda. La serie di accordi di difficile impostazione sono dovuti anche al fatto che Paganini voleva essere l'unico in grado di suonare la propria musica, in modo da essere l'unico a potervi lucrare. Volendo mantenere segrete le partiture, nei suoi concerti le consegnava al direttore d'orchestra solo qualche ora prima dell'esecuzione.

Suonando in maniera ineguagliabile, si diceva che avesse stipulato un patto con il diavolo. Queste credenze, oltre al suo straordinario virtuosismo, erano alimentate dalla sua magrezza, dovuta alla sifilide. Vestiva di nero, il viso era scarno e gli occhi rientrati nelle orbite; aveva perso la dentatura per le cure al mercurio che servivano a curarlo dalla sifilide; per la mancanza dei denti la bocca rientrava, mentre naso e mento si erano avvicinati. 

Nel 1834, iniziano i sintomi di una malattia polmonare, segnata da colpi di tosse che duravano anche un'ora, impedendogli di esibirsi. Furono interpellati molti medici, ma nessuno riuscì a curarlo. Il dottor Sito Borda, di Pavia, pose la diagnosi di TBC, curandolo con latte di asina. Poi, propose medicamenti mercuriali che davano grossi effetti collaterali.

In seguito, insorse una laringite, con necrosi dell'osso mascellare. Malgrado non avesse una buona opinione dei medici, ne cercava sempre di nuovi, nella speranza di trovarne uno che potesse curarlo. Per gli sforzi della tosse diventò afono. Gli faceva da interprete il figlio Achille, di 15 anni che gli leggeva le parole sulle labbra. Quando questo non fu più possibile, scriveva dei bigliettini. Nonostante le difficoltà non si abbandonò alla sconforto, dimostrando una grande forza d’animo.

Paganini morì a cinquantasette anni, a Nizza, in casa del presidente del Senato. Il vescovo ne vietò la sepoltura in terra consacrata, per la sua fama di eretico. Il suo corpo fu  imbalsamato e conservato nella cantina della casa dov’era morto. Dopo vari spostamenti, nel 1853, fu sepolto a Parma.

Achille, diventato adulto, pubblicò le sue opere e in seguito i nipoti che non lo avevano conosciuto, venuti in possesso dell’intera opera, decisero di venderla allo Stato. Dopo il rifiuto, misero l'intera opera all'asta.

Il detto, Paganini non ripete, ebbe origine nel febbraio del 1818, a Torino, quando Carlo Felice, futuro sovrano della Savoia, dopo aver assistito a un suo concerto, lo pregò di ripetere un brano. Per le lesioni ai polpastrelli e per le improvvisazioni, rendendo le esecuzioni irripetibili, disse: “Paganini non ripete.”

“Ho pianto solo due volte in vita mia: quando un tacchino farcito di tartufi mi cadde nell’acqua e quando sentii suonare Niccolò Paganini.” Gioacchino Rossini.




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