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Ti ricordi?
Ti ricordi quando
eravamo giovani?
Di notte si sentiva
latrare i cani per le strade
e qualche uccello
notturno che scandiva l’ore.
Ti vedevo spesso con le
tue amiche frivole
e tu eri sempre più
bella come nelle favole.
Sotto casa due calci al
pallone,
alla radio le partite e
le canzoni.
Il paese era essenziale
e giusto,
come le ragazze senza
inganni e trucchi.
Si aspettava il giorno
della festa,
in quegli che erano gli
anni della protesta.
Poi per scherzo tu mi
dicesti si,
con la mediazione
dell’amico un po’ così.
Qualche ballo su una mattonella,
qualche bacio alla
chetichella,
ma poi chi ti ha vista
più?
Eppure dopo tanti anni,
ti sento battere nel
cuore,
ti penso sempre a tutte
le ore.
Ma ora il tempo non è
più,
ore sei solo il nulla
tu.
La mia donna
Tu che rendi tristi o
felici i giorni miei,
non far che il tempo si
insinui tra le tue gote,
la mia donna vorrei
fosse lasciata in pace.
Non scalfire con le tue dannate unghia,
il di lei viso fiammante
e luminoso.
Essere degna di ben
altro percorso,
affiancata alla luce del
più alto rango,
merita la mia fascinosa
donna.
Agreste lucano
La terra imbrattata di luce e di pianto,
è dei contadini disperati al vento,
che sputano in caverne tra le pietre del tempo.
Per un giorno sperduto di santi e di bande,
riposano su stridenti guanciali di paglia,
graziando un anno di gelo e di fuoco,
al padrone che non rispetta nemmeno un poco,
la perizia di scrostare burroni e calanchi.
Cucita sulla pelle cotta dal sole il colore di terra,
indossano panni per mietere e arare per anni.
Quando finita è la festa lampante li aspetta,
un altro anno nella schifosa tempesta,
mangiando frattaglie e ributtanti zanzare,
che ti succhiano sangue tra spine di rovo,
senza donne che ti dicono qualcosa di nuovo.
E le aie perniciose che ti tolgono il fiato,
tra le polveri d’oro di un anno fruttuoso.
Alla fine restano macerie di anime morte,
stupite e stremate come ombre contorte,
in un lago placato riflesse e convesse.
Al mio fianco
Vorrei avere sempre al mio fianco,
una che mi ristori se sono stanco,
che mi cerchi quando sono lontano,
che mi coccoli ora che sono decano.
Che non abbia vergogna di spogliarsi sempre,
che mi imbecchi al ballo e scopri il suo ventre
e quando vien mattina come un fiore aperto,
imbrigli le sue gambe attorno al mio deserto.
Una turbativa d’asta sei per la mia mente,
divento il tuo placido e tortuoso affluente,
leggo la tua preziosa pelle con uno sguardo,
dammi languide carezze e tienimi riguardo.
Sei corazzata che spara parole di fuoco,
d’amore e di
servigi in un intricato gioco,
cambi idea per nulla ma non sembri falsa
e se ti ammonisco cerchi una tua rivalsa.
Stipuliamo una pace che non sia un verdetto,
hai diritto a un strutturale cambio d’assetto,
i rapporti non si curano con il matrimonio,
una festa che dura poco come il patrimonio.