miércoles, 2 de agosto de 2023

Romolo Il Visionario II

 



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                       Romolo Il Visionario II

I romani passarono dalla guerra alla pace e persino alla fusione con i sabini e all’unificazione dei loro territori. I sabini si trasferirono sul Campidoglio, raddoppiando d’un colpo la popolazione di Roma. Il nobile Etrusco, Cele Vibenna, impressionato dal valore che i romani avevano dimostrato in battaglia, chiese a Romolo il permesso di trasferirsi a Roma con un gruppo di suoi compatrioti, insediandosi sul colle Quercetulano che in suo onore divenne colle Celio.

Tito Tazio, Titus Tatius, era il re sabino di Cures, una delle città Stato del Lazio, situata tra la riva sinistra del Tevere e la Via Salaria, a circa ventisei miglia da Roma, dove oggi sorge Fara Sabina. Dopo il ratto delle Sabine e la conseguente unione dei popoli, Roma ebbe due sovrani che presiedevano una monarchia collegiale e sulla Via Sacra ci furono i primi festeggiamenti della storia di Roma. Tatius governò Roma in perfetta armonia con Romolo, dal 750 al 745 a.C., anno della sua morte, avvenuta per mano dagli abitanti di Lavinio. Entrambi avevano gli stessi oneri e onori. I sabini furono incorporati nelle curie, dando origine al Populus Romanus Quirites. Tito Tazio ebbe una figlia chiamata Tatia che sposò Numa Pompilio, secondo re di Roma e un figlio che fu l’antenato della nobile famiglia dei Tatii.

Il consiglio degli anziani, scelti fra le cento famiglie più importanti, i Patres, coadiuvavano il re nel governo e ne decideva l’elezione. Poi, fu chiamato Senato e i membri salirono a duecento. I due re divisero la popolazione in tre tribù. I Ramnes erano Latini. I Tities, Sabini. I Luceres erano Etruschi. Ognuna di queste tribù fu divisa in dieci Curie o Comizi Curiati che si riunivano in assemblee per disporre a maggioranza, le leggi per il popolo. Ogni curia doveva fornire una centuria di 100 fanti e una decuria di 10 cavalieri. L’esercito era formato da 3000 fanti e 300 cavalieri, sotto il comando del re. Tra i due popoli fu stipulato che i romani restassero sul Palatino, mentre i Sabini sul colle Tarpejo o Capitolino. La valle boschiva e paludosa tra i due colli, fu bonificata e adibita a mercato e Foro e cinto con delle mura. Romolo costituì le dodici tavole delle prime leggi romane, poi rivisitate dal Senato trecento anni dopo, in periodo repubblicano.

Alcuni parenti di Tazio, maltrattarono gli ambasciatori di Laurentum, arrivati a Roma in ambasceria. I Laurentini indignati per quell’atto infame, portarono la loro disapprovazione al cospetto di Tito, il quale facendo spalluccia, senza applicare la giustizia, difese i suoi parenti, respingendo le loro accuse. La faccenda sembrava chiusa, ma quando il medesimo si recò per un solenne sacrificio a Lavinio, il sacrificato fu proprio lui, poiché gli abitanti, non avendo dimenticato l’offesa, si vendicarono, uccidendolo. Romolo rimase indifferente a quell’efferato crimine, ritenendo che Tazio fosse stato ucciso giustamente, risolvendo le problematiche interne del potere, lasciandolo solo al comando. Il corpo di Tazio fu riportato a Roma e sepolto sul colle Aventino, all’interno di un bosco sacro di allori, situato nell’area dell’attuale piazza Giunone Regina. Su quella tomba i romani ogni anno facevano sacrifici. Romolo, sotto sotto non gradiva di condividere il comando con Tazio, pur non avendo avuto con lui nessuna discordia. Alla sua morte, l’indifferenza mostrata avvalorò tale tesi, facendo pensare che lui fosse stato il mandante dell’omicidio. Tali sospetti però non alterarono l’armonia che regnava nella città e i sabini per timore o per coerenza, rimasero quieti.

Fidene, città limitrofa alla sempre più fiorente città di Roma, per tema d’essere nel breve volgere di pochi anni inglobata ad essa, scatenò un conflitto, devastando e saccheggiando le campagne romane, sin quasi sotto le mura della città, con squadroni della morte appositamente istituiti per l’occasione. Romolo, ripresosi dal turbamento, organizzò un esercito e marciò verso Fidene, lasciando il grosso dell’esercito nella boscaglia antistante la città nemica, mentre con una piccola parte si portò sotto le mura per attirare fuori il nemico. Quando i Fidenati uscirono per respingere il nemico, attratti dall’esiguo numero di essi, quest’ultimi indietreggiarono simulando indecisione e spavento, per trascinarli dove c’era il grosso del loro esercito. Quando i Fidenati s’accorsero del tranello, con una repentina e strategica ritirata, corsero disordinatamente verso le proprie mura, ma era troppo tardi. I romani riuscirono a infilzarli come polli, vincendo la battaglia. Questo fu il primo dei tanti episodi bellici tra le due città che se le dettero di santa ragione per secoli, infatti anche durante la Repubblica, numerose furono le ribellioni di Fidene, ora alleata con i Sabini, ora con i Latini o degli Etruschi di Veio.

Fidene sorse nell’XI secolo a.C., sul colle di Villa Spada, a 8 chilometri a nord di Roma, sulla Via Salaria. L’importante città, vicina al Tevere, cinta da forti mura, era situata all’incrocio tra le vie commerciali tra Romani, Sabini, Etruschi e Sanniti.

Anche agli Etruschi di Veio, venne la stessa voglia dei Fedenati e la vicenda si svolse sulla falsariga del precedente. Quindi, alla carlona, alla cieca, senza nessun piano tattico, passarono il Tevere e invasero il territorio romano. Dopo una breve razzia, se ne tornarono tra le loro mura. Romolo, riorganizzato l’esercito, corse verso Veio per dirimere la questione, alla sua maniera. In campo aperto, cominciò uno scontro furioso senza preliminari o tatticismi. In breve i romani sbaragliarono l’esercito nemico e i sopravvissuti corsero a trincerarsi tra le mura amiche. L’inespugnabile Veio respinse i romani, gli stessi depredarono le loro campagne, cosi come loro avevano fatto con i territori romani. Poi, i Veiani inviarono a Roma i loro ambasciatori, ottenendo cento anni di pace, in cambio di parte del loro territorio. Dopo quelle vittorie Roma avrebbe avuto un quadriennio di pace. Romolo fu amato dal popolo e i suoi soldati lo idolatravano, pur tenendo attorno a sé come guardie del corpo trecento soldati, cui impose il nome di Celeri. Questa fu l’ultima guerra da lui combattuta.   

Romolo riuscì a conquistare Medullia e a battere Fidenae, installandovi 2.500 coloni. Si alleò con i Prischi Latini, sconfiggendo Cameria e la potente città Etrusca di Veio, sottraendole i territori a ovest dell’isola Tiberina. Inorgoglito dei successi conseguiti contro le popolazioni limitrofe, abbandonò la tendenza democratica per applicare una sorta di monarchia assoluta, opprimente e intollerabile. I patrizi pur riunendosi in Senato, obbedivano senza fiatare ai suoi ordini.

Dopo aver compiuto grandi imprese, predestinato all’immortalità, dopo trentotto anni di regno, un giorno del 716 a.C., nella pianura delle Capre, a Campo Marzio, mentre dal suo trono parlava all’esercito, una saetta squarciò il cielo intriso di nuvole e un violento temporale si scatenò. Una fitta nebbia avvolse il re, tanto da farlo sparire alla vista degli astanti, tra l’altro dispersi per ripararsi dall’acquazzone. Infatti, Romolo scomparve per davvero e nessuno lo vide più. I senatori seduti accanto a lui, giurarono che il re era asceso al cielo, diventando il dio Quirino. In realtà, lo avevano squartato e le membra nascoste per portarsele nelle loro case, come cimelio. Gli uomini ammutolirono per la perdita del loro padre e guida. Poi, lentamente, prima alcuni e poi tutti in coro, cominciarono a osannare Romolo come loro padre, figlio degli dei e Padre di Roma, implorando la sua protezione, anche se i Senatori più vicini furono sospettati di averlo fatto a pezzi e nascoste le frattaglie. Il giorno dopo, di fronte a una folla stupita e minacciosa, Giulio Proculo, un buontempone originario di Alba Longa, pensò di riportare la calma tra il popolo, con un discorso. Era il più antico esponente della famiglia Iulia, antenato di Giulio Cesare.

“Stamattina, o Quiriti, alle prime luci dell’alba, Romolo, il fondatore di questa città è sceso dal cielo e mi è apparso all’improvviso. Mentre tra un misto di paura, confusione e rispetto, lo pregavo di concedermi di guardarlo in faccia, mi ha detto di annunciare ai romani che la volontà degli dei celesti è che la sua Roma diventi la capitale del mondo. Mea Roma caput orbis terrarum sit. Imparino perfettamente l’arte della guerra e la tramandino ai posteri, perché nessuna potenza terrena possa essere in grado di resistere alle armi Romane.” Volendo essere onorato con il nome di Quirino, i romani gli dedicarono un tempio sul colle, poi chiamato Quirinale, dove piantarono due mirti sacri a Venere, madre di Enea, chiamati Patrizio e Plebeo, rappresentando i nobili e la gente comune.

Come il popolo Romano abbia bevuto quelle idiozie è difficile da credere, ma nella suggestione del momento, il popolo pensò che Romolo non fosse morto, bensì asceso al cielo tra i suoi pari. La storiella placò il popolo, perché erano quelle le parole che avrebbero voluto ascoltare. Romolo era un dio, il dio Quirino e Roma, sarà la capitale del mondo. In realtà, con gli anni Romolo aveva perso il suo buonismo, passando al dispotismo. Incurante delle richieste del popolo, scatenò il suo assassinio, anche se fu descritto come un’ascesa al cielo tra i suoi pari, degna del fondatore della più grande civiltà umana.

Romolo morì a cinquantacinque anni, governando per trentasette. La Casa Romuli, l’abitazione in cui il primo re di Roma risiedette, era una capanna, un po’ più grande delle altre, posta verso l’angolo sud ovest del colle Palatino. Sino alla costruzione delle mura serviane, la difesa dell’Urbe, dalle popolazioni multietniche che popolavano il Lazio, anche se provvisti di irte palizzate di legno, fossati e terrapieni, era affidata ai soli uomini, i quali adempivano al compito con archi, lance e pietre.

Sul Palatino sono stati ritrovati grossi fori che alloggiavano i pali portanti del tetto delle capanne rettangolari e fori più piccoli per la copertura. Accanto al foro centrale, ci sono le tracce di un focolare, datato VIII secolo a.C.. Recentemente sono stati ritrovati i resti della residenza di Romolo, costituita in una grande capanna. Accanto alle fondamenta dello scomparso Arco di Augusto, sono state ritrovate anche alcune tombe preistoriche e vasi privi di decorazioni, del I millennio a.C., dell’Età del Bronzo. Gli antichi abitanti della zona inumavano i defunti, caratteristica delle società matriarcali, mentre in epoche susseguenti erano inceneriti, sinonimo di civiltà patriarcali. Il primo agglomerato della zona si trovava sull’Isola Tiberina, scelto per la sicurezza che il luogo proponeva, poiché raggiungibile solo a nuoto. Il colle Palatino fu abitato già nel X secolo a.C., prima della fondazione di Roma, mentre lungo le rive del Tevere esistevano molti villaggi, costruiti tra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro.

La prima forma di difesa di Roma fu rappresentata da un terrapieno e dall’unione delle difese individuali dei colli, attribuita a Servio Tullio, nella metà del VI secolo a.C.. Le mura serviane costruite sotto i Tarquini, protessero Roma per centocinquanta anni, fino all’invasione dei Galli, nel 390 a.C.. Poi, in venticinque anni, si costruì la cinta muraria che costituì il principale baluardo difensivo per sette secoli, anche se con il tempo perse gradualmente importanza, per la grandezza militare che Roma aveva assunto. Le ultime mura si estendevano per undici chilometri e includevano 426 ettari. In alcuni tratti le mura erano protette anche da fossati larghi trenta metri e profondi nove, con terrapieni adiacenti alti dieci e larghi quattro, mentre il Campidoglio era protetto da una fortificazione propria.

Roma si formò dalla fusione di genti di origine diversa, da un crogiolo di razze, realizzando la prima grande metropoli dell’umanità che per numero di abitanti fu uguagliata solo agli inizi del XIX secolo, da Londra. La città si estendeva lungo la sponda sinistra del Tevere, su sette colli. Palatino, Campidoglio, Celio, Aventino, Viminale, Quirinale, Esquilino. Roma ha aperto la via alle seguenti civiltà, nella cultura, nella lingua, nell’arte, nella letteratura, nella filosofia, nella religione, nel diritto, nell’architettura, nell’ingegneria, nei costumi. In tutto. Ci sono molte ipotesi sulla nascita del nome che il villaggio assunse. Vogliamo credere, romanticamente che il nome derivi da Romolo, fondatore della città, anche se l’ennesima leggenda dice che fu Romolo a prendere il nome dalla città e non viceversa e può essere accaduto che i vari nuclei abitativi indipendenti, già esistenti sul Palatino, siano stati unificati da Romolo, in un’unica entità.  





Romolo


Lo stesso sol che or sfolgaremte appare

dir potrebbe che ancor pria splendea,

dell’amor cieco per la sua culla in erba,

d’un che con la vita altrui giocar solea.

 

E anche la luna che tacita e guardinga,

or riflette le malizie dei discendenti alteri,

nunzia riportar le verità dei superbi avi,

potrebbe che sin al fin battagliaron fieri.

 

Lambir non possiam quei mitici guerrieri,

sagaci apportarono tutti gli utopici valori

e le storie che al dire non reggon confronto,

l’umanità sconcerta ancor stima gli albori.

 

Mai più grande frutto portò con l’inganno,

con acume fronte alla smisurata missione,

mai si tirò indietro dal suo robusto affanno,

bellicoso e saccente vinse come un istrione. 


Or dov’è il retaggio del suo far remoto?

Il suo fiorire da rozzi barbari è taciuto, 

or il suo superbo grido ai più è ignoto,

tutto è lontano ma non tutto è perduto.



Testo tratto dal libro sull'Impero Romano:"Voci dall'Antica Roma"



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